In questa sezione trovate alcuni approfondimenti sul documentario e alcune note delle registe.
Il documentario
Jack è un ragazzo, come tanti. Ha poco meno di trent’anni - e va bene che in realtà ti sembra un ragazzino - ma quello sguardo sorridente, in un lampo, te lo dice con fermezza che sta per diventare un uomo. L’uomo e la persona che vuole essere. Nonostante la vita nella provincia intorpidita, che fa i giorni tutti uguali nella sua routine ottusa. Dove ti sembra che niente può succedere, ma dove allo stesso tempo puoi sentirti più protetto. Ma Jack è di più. Originario della Val Trompia, in provincia di Brescia, Jack è nato con caratteri sessuali femminili, e dal 2015 sta compiendo un percorso di transizione per conformare il suo corpo a quello che ha sempre sentito di essere: un uomo. Nella quotidianità di molti, fatta di lavori saltuari, amici del bar e pochi svaghi, Jack si interroga su cosa significhi essere un uomo e su che tipo di uomo essere. Lo fa nel corpo e al di là del suo corpo, cercando un accordo nella dualità tra il dentro e il fuori, ancor più complesso nella sua esperienza. Con disarmante naturalezza, Jack ci racconta una storia di trasformazione, ma ancor prima di formazione. Il suo cammino è personale, ma la sua ricerca di un’identità, per rispondere alla domanda – chi sono?– è quella di tutti noi, indipendentemente da quale sia la risposta.
Un uomo deve essere forte è l’esordio alla regia per Ilaria Ciavattini e Elsi Perino. E’ il primo film documentario in Italia che racconta una transizione FtM lungo la durata del percorso, mostrando col corpo e sul corpo la potenza di uno stravolgimento prima di tutto identitario. Il progetto infatti è in lavorazione da novembre 2015, quando Jack ha iniziato il suo cambiamento:
assunzione degli ormoni, iter legale per la richiesta di cambio dei dati anagrafici e autorizzazionealle operazioni. La regia di Ciavattini e Perino, anche quando lo sguardo della camera si posa sul corpo di Jack, ci restituisce con immediatezza e candore la spontaneità del cammino di crescita intrapreso dal protagonista. A settembre 2017 il tribunale di Brescia ha definitivamente
sentenziato la sussistenza della condizione di transessualismo in Jack, che ha potuto così cambiare i propri dati anagrafici e i propri tratti sessuali: Jack è un uomo per tutti, ora lo è anche per lo Stato.
Note di regia: Ilaria Ciavattini e Elsi Perino ci parlano delle motivazioni personali alla base della realizzazione del documentario.
Ilaria Ciavattini
"La prima volta che mi sono chiesta chi fossi, è successo quando ho cercato di capire da dove venissi. Era d’estate, come per ogni ricordo d’infanzia, e un ragazzo della mia città si era tolto la vita poche ore prima. Io non avevo neanche dieci anni, Marco ne avrà avuti una ventina. Avrebbero detto che era accaduto perché la famiglia non si era accorta di quanto si sentisse solo, perché il padre era stato troppo severo, eppure a scuola aveva un sacco di amici, a calcetto tutti gli volevano bene. Ma a casa mia si disse che si era suicidato perché qui non aveva trovato niente, nella mia cittadina non c’era niente di buono. Sono poi passati diversi anni e ho dimenticato la storia di quel ragazzo.
Narni è una cittadina medievale come tante nel centro Italia, arroccata su una collina che non è montagna, non è pianura. Una collina che non è neanche abbastanza alta perché nevichi d’inverno - grande cruccio della mia infanzia -. Si affaccia sulla conca ternana, una spianata industriale in cui campeggia una ciminiera a strisce bianche e rosse, che spezza il profilo basso delle case costruite senza freni negli anni del dopoguerra. Un’intera economia ha ruotato intorno all’Elettrocarbonium per decenni, la fabbrica che ha prodotto elettrodi in grafite sfamando intere famiglie di operai. Poco distante c’è la Tarkett, che produce a ciclo
continuo linoleum per pavimenti di palestre, uffici, capannoni industriali. Ci sono giornate in cui l’odore di gomma ricopre gli ultimi campi di grano o di girasole e rimane nel naso come un persistente promemoria. Io sono nata qui. Sono stata anzitutto la figlia di quell’infermiera che va a fare i domiciliari nelle case dei malati, che la conoscono tutti, quella che si occupa anche dei gruppi di aiuto per gli alcolisti e per i tossicodipendenti. La figlia dell’architetto eccentrico e silenzioso che si è costruito una casa con una piazza al posto del salotto. La sorella di quel ragazzo che lavora nel Cinema, a Roma, quel ragazzo alla mano che se serve c’è sempre. Poi sono stata la centrale della squadra di pallavolo, l’unica che per l’altezza e nient’altro poteva ricoprire quel ruolo, l’unica che nel suo metro e ottanta aveva qualche chance di finire in prima divisione, te la immagini una narnese in serie D?
Una narnese in serie A? Non sono mai stata nient’altro che qualcuno rispetto a qualcun altro. Alla soglia dei vent’anni, però, ho deciso di andarmene il più lontano possibile: Torino. 800 chilometri mi sembravano abbastanza. Ancora non lo sapevo,
ma in quella decisione stava la pulsione di capire chi fossi. Ogni persona, a un certo punto, finisce per chiedersi chi è, alcuni fanno finta di niente, alla sera nel letto aspettano a occhi stretti domani e pensano ad altro; alcuni passano la vita a capirlo, andandosene, fuggendo direbbe qualcuno, per guardare all’indietro con il cannocchiale; altri non se lo chiedono mai e si irreggimentano diligenti in un percorso segnato, fai il bravo, stai buono. Jack chi fosse se lo è chiesto da subito ed è riuscito a capirlo con una naturalezza che lascia di stucco. Anche Jack viene da una provincia come la mia, pochi svaghi, un’industria onnipresente che detta la vita di tanti, prospettive talmente sottili da rimanere invisibili agli occhi. Anche Jack ha perso un’amica, Anna. Forse anche lei - come Marco - era amata, ma la prospettiva del cambiamento in una valle come quella la terrorizzava, una valle in cui sei figlia di, nipote di, amica di. Anna non ha sostenuto il dolore che una transizione avrebbe potuto comportare e ha deciso di andarsene. Avrebbero detto che era felice, che i genitori sono persone per bene, che aveva un sacco di amiche.
Intanto adesso la sua cameretta è un fermo immagine di cinque anni fa. Sulla scrivania qualche cd degli Skiantos, una bottiglia di birra a metà a cui è stato rimesso il tappo. Il letto a una piazza, con la coperta a fiorellini. Le pareti arancioni che suo papà aveva dipinto prima che nascesse, un paio di jeans sulla sedia e un pacchetto di sigarette aperto.
Jack invece ha deciso di restare, perché ha capito che si può far pace con la propria pelle, si può far pace con la propria famiglia, si può far pace con il posto in cui si è nati, trovando la giusta distanza tra sé stessi e gli altri. La forza di Jack mi ha colpita all’istante. La consapevolezza di quale fosse la propria identità e l’urgenza di raggiungere un obiettivo, nonostante tutto, nonostante la provincia cronica, il rischio che fosse additato come un freak, il terrore che la propria famiglia potesse fare un passo indietro. Si è trattato di un istinto che Jack non sa dire a parole, un impulso di amore verso sé stesso. Jack ha capito che c’è un’alternativa al futuro, non c’è niente di scritto. E mi ha spezzata vedere la naturalezza con cui tutti intorno a lui abbiano accolto la sua transizione senza mai discutere il senso. Non c’è mai stato un momento in cui sua madre gli abbia chiesto di fermarsi o le sue amiche lo abbiano abbandonato, mai un momento in cui i datori di lavoro lo abbiano dequalificato perché transessuale. È dunque vero che la gente è il posto dove vive? Forse sì, ma la gente è capace di essere anche molto più delle armi che produce, della noia che la sfianca, dell’assenza di prospettive che deprime le giornate della valle. Jack e tutti quelli che gli gravitano intorno mi hanno tirato uno schiaffo e mi hanno imposto di capire che anche se si viene da un contesto ostile, “ce la si può benissimo fare”, così direbbe Jack, e la potenza della sua determinazione è un colpo bellissimo al petto".
Elsi Perino
"Il mio primo amore si chiamava Veronica, bionda e bellissima con una fossetta minuscola tra le narici, un profumo di deodorante alle viole e delle scarpe da ginnastica da giocatore di basket. Io avevo tredici anni e lei aveva qualcosa che io non conoscevo, la strafottenza. Facevo un esercizio la sera prima di dormire: pensavo a Veronica e quando nella pancia arrivava il subbuglio sostituivo il suo viso con quello di Andrea Farina, terza F, per cercare di correggere la mia pancia. Correggere: nella dicotomia giusto e sbagliato come se i sentimenti fossero una versione di latino svolta male. L'adolescenza è il campo minato degli innamoramenti fulminei e ogni innamoramento fulmineo provocava dentro di me uno stato d'allarme generalizzato: non di nuovo, non questa volta; non così. Niente di cui ridere o sorridere, come facevano i miei coetanei. Ad ogni Veronica, Mariachiara, Michela, Francesca, Giorgia a cui non ho detto “mi piaci”, “ci vediamo stasera?”, “prendiamo un gelato”, “mi accompagni a casa?”, ho cominciato ad aggiungere una fila al muro di mattoncini per non fare entrare nessuno. Un muro altissimo le cui facciate, con gli anni, divennero la parte più vera di me. Guardavo, e cercavo di capire, al sicuro, al di qua. “Io” separato nettamente da “gli altri”; ma il passo tra chiuso fuori e chiusa dentro era breve. Se la prudenza si incupisce è paura il risultato, e la paura per molto tempo è stata un modo. Un modo che la mia famiglia non mi ha mai insegnato, un modo che non mi hanno insegnato le persone
che ho scelto e che a loro volta l'hanno fatto. Quando ho iniziato ad avvicinarmi a molte storie di transizione per il preliminare di
una sceneggiatura mai portata a termine, ho intravisto i contorni di una tematica che aveva a che fare con lo spirito di sopravvivenza. Non tutte le storie, ma sicuramente moltissime di quelle che mi sono state raccontate in prima persona avevano come denominatore comune la difesa feroce della persona che si sentiva di essere a discapito di tutto. La paura era un fattore molto spesso marginale, un prezzo minimo a fronte della conquista tenace dell'io, mai una benzina. Osservare a lungo Jack è stato capire la naturalezza delicata di assecondare semplicemente la propria indole senza pensarsi sbagliati. Jack mi sta facendo partecipe di un modo a me non ancora del tutto familiare, il modo di chi non ha smesso di avere paura ma che, semplicemente, la paura non l'ha mai sentita nella propria pancia. Ho conosciuto e apprezzato di lui la tenacia e la forza di chi giorno dopo giorno
costruisce sé stesso, il suo continuo spogliare la parola transessuale di tutti i significati ostili che la gente - che è troppa vista tutta insieme - attribuisce ad essa. Ho amato ed amo di Jack l'ordine e il disordine dei suoi giorni, essere persona prima di essere una figura sociale o un argomento politico, ho amato e amo di Jack il suo evitare di essere un luogo emotivamente ferito, il fatto che viva la sua transizione come appunto la parola suggerisce: transitare da quel che non è a chi vuole essere. Questa è una storia che mi permetto di restituire alla me adolescente, perché chiedersi – chi sono – e cercare di rispondere senza tradirsi implica un
enorme coraggio e il coraggio spesso è contagioso".
Il Trailer
https://www.youtube.com/watch?v=EMN_80oLXAo