Selfie (2019)

In queste sezione potete trovare alcuni interessanti approfondimenti!

Trama e critica
Gli adolescenti Pietro e Alessandro sono due amici inseparabili di Napoli che accettano la proposta del regista di riprendersi con un iPhone, commentando quotidianamente le proprie esperienze di vita, le loro amicizie, il loro quartiere e una tragedia condivisa.
Napoli, Rione Traiano. Nell’estate del 2014 un ragazzo di sedici anni, Davide, muore, colpito durante un inseguimento dal carabiniere che lo ha scambiato per un latitante.
Davide non aveva mai avuto alcun problema con la giustizia. Come tanti adolescenti, cresciuti in quartieri difficili, aveva lasciato la scuola e sognava di diventare calciatore.
Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni e vivono nel Rione Traiano. Sono amici fraterni, diversissimi e complementari, abitano a pochi metri di distanza, uno di fronte all’altro, separati da Viale Traiano, dove fu ucciso Davide.

Alessandro è cresciuto senza il padre, che dopo la separazione dalla madre si è trasferito lontano da Napoli. Ha lasciato la scuola dopo una lite con l’insegnante che “pretendeva” imparasse a memoria “L’Infinito” di Leopardi. Ora fa il garzone in un bar: guadagna poco, non va in vacanza ma ha un lavoro onesto in un quartiere dove lo spaccio, per i giovani disoccupati, è un ammortizzatore sociale di facilissimo accesso.
Pietro ha frequentato una scuola per parrucchieri, ma al momento nessuno lo prende a lavorare con sé. Il padre, pizzaiolo, ha un lavoro stagionale fuori città e torna a casa
una volta alla settimana, mentre la madre è andata in vacanza al mare con gli altri due figli. Lui, invece, ha deciso di passare l’estate al rione, per fare compagnia al suo migliore amico e iniziare una dieta che rinvia da troppo tempo.

Alessandro e Pietro accettano la proposta del regista di auto-riprendersi con il suo iPhone per raccontare in presa diretta il proprio quotidiano, l’amicizia che li lega, il quartiere che si svuota nel pieno dell’estate, la tragedia di Davide.

Aiutati dalla guida costante del regista e del resto della troupe, oltre che fare da cameraman, i due interpretano se stessi, guardandosi sempre nel display del cellulare, come fosse uno specchio, in cui rivedere la propria vita. Una disputa allontana i due amici: Alessandro preferirebbe venisse raccontato solo il loro rapporto e il resto delle cose belle del rione, ché di quelle brutte parla già
quotidianamente la stampa. Pietro, al contrario, non vorrebbe tacere nulla, perché solo così lo spettatore potrà capire quanto è difficile per loro, in quel contesto, vivere una vita “normale”.
Il racconto in “video-selfie” di Alessandro e Pietro e degli altri ragazzi che partecipano al casting del film viene alternato con le immagini gelide delle telecamere di sicurezza che sorvegliano come grandi fratelli indifferenti una realtà apparentemente immutabile, con i ragazzi in motorino che sembrano potenziali bersagli in un mondo dove la criminalità non sembra una scelta ma un destino che ti cade addosso appena nasci.
Un film fatto interamente di sguardi dove il rione appare ai due ragazzi come una parafrasi dell’Infinito di Leopardi, che Alessandro prova finalmente a raccontarci: circondato da un muro che esclude la conoscenza di tutto ciò che sta al di là e che forse, si augura, un giorno, almeno i suoi figli potranno finalmente scoprire.

A ribaltare lo stereotipo corrente di una narrazione malavitosa “romantica”, in Selfie c’è un momento esplicito, in cui i due protagonisti discutono sul taglio da dare al racconto. Alessandro vuol mostrare solo le cose belle del quartiere, Pietro non vuole risparmiare le brutture.  Per entrambi c’è il sogno di riscatto dal degrado di una società che si identifica nell’illegalità.  I due amici registrano i loro lampi di quotidianità.  Si chiedono se fare la lampada per abbronzarsi dà più possibilità di trovare una ragazza. Vanno a fare il bagno a Posillipo, “potremmo mai avere una casa qui?” sospirano. Vanno a trovare il padre del ragazzo ucciso. I media hanno trattato il caso con superficialità e molti napoletani stanchi della criminalità hanno mormorato “uno di meno”.  Il regista lascia ai ragazzi lo sguardo sul grave fatto di cronaca ed è intorno alla morte che ruota quel mondo. Analogamente, Roberto Minervinicon il suo documentario in concorso a Venezia 2018 What You Gonna Do When The World’s On Fire? si era interessato alla serie di brutali uccisioni di giovani afroamericani da parte della polizia negli USA). Nei frammenti di casting, Checco, 19 anni, dice “lo spaccio sono soldi facili ma finisci in galera o ammazzato dalla concorrenza”. Un altro ama le armi, parla di Glock, di calibro 38, 9X21, di 375, “la mia preferita”. Esercizi di un machismo che nasconde paura. All’opposto le ragazze, trucco da adulte, lanciano messaggi rassicuranti alle famiglie (e agghiaccianti per lo spettatore): “Non mi piace vivere qui, ma se il mio futuro marito dovesse andare in carcere per dieci anni, lo aspetterei senza tradirlo”.
La cosa affascinante di Selfie non è l’uso in sé di un portatile per girare (Unsane dello sperimentatore Steven Soderbergh è stato lanciato alla Berlinale 2018 come “il primo thriller girato con l’iphone”) a cui Ferrente aggiunge immagini fisse da videocamere di sorveglianza con un montaggio asciutto e rapido. Ma è piuttosto l’evidenza di una trasformazione della forma-cinema, dovuta all’innovazione del linguaggio, che va verso una poetica tecnologica in cui il corpo che recita se stesso è un elemento costitutivo del testo drammaturgico.

Intervista al regista
https://www.youtube.com/watch?v=f-R6kzAflL0


Trailer
https://www.youtube.com/watch?v=pp34QVQgC30
collettivo.psicologia sinestesiateatro videocommunity cineteatrobaretti serenoregis psychetius arci cecchipoint officinecorsare