Gli indigeni sono confinati nelle riserve o sfruttati dai fazendeiros nei campi di coltivazione trasgenica che anno dopo anno distruggono le foreste, spazio del mondo religioso e di sostentamento dei Guaranì-Kaiowà. Lo status quo viene bruscamente interrotto quando Nádio, la guida ascoltata di una comunità indio decide di non poter sopportare lo stillicidio di suicidi di giovani senza più speranza. Inizia così un'occupazione pacifica finalizzata a ottenere una restituzione delle terre indebitamente confiscate. Accanto a lui ci sono suo figlio e il giovane apprendista sciamano Osvaldo. I fazenderos inizialmente reagiscono cercando di frenare le spinte più estremiste del loro campo ma comunque ben decisi a non cedere neppure un ettaro di terra agli indios. Fenomeno comune in molte parti di quello che viene chiamato "Terzo Mondo", il suicidio tra i Guaranì è raccontato con un rispetto commosso dal regista che però non nasconde alcuni aspetti brutali e autodistruttivi della loro cultura. Bechis osserva infatti sia i fazenderos che gli indios quasi come se fosse a sua volta un birdwatcher, cioè qualcuno che guarda da lontano. L'intento è evidentemente quello di non voler forzare la mano sul piano di una facile adesione emotiva richiedendo allo spettatore un più complesso lavoro di adesione alla lotta contro un'ingiustizia che si perpetua da secoli.
La terra degli uomini rossi diventa così un film di forte denuncia morale e politica senza assumere mai la dimensione del pamphlet. Proprio in questo procedere, che permette alla ragione di prevalere sulla passione, sta la forza di un film che Bechis ha saputo costruire 'ascoltando' nel senso più pieno del termine coloro che ogni giorno vivono l'umiliazione di non possedere più una terra che per loro non significa solo cibo ma anche (e soprattutto) radici e cultura. In concorso a Venezia 2008.

Il Regista
Marco Bechis è nato a Santiago del Cile nel 1957. Nel 1982 realizza a Milano Desaparecidos, dove sono?, video-installazione su un campo di concentramento argentino, da cui poi trae il film Garage Olimpo, diretto nel 1999. Nel 1991 esordisce con il lungometraggio Alambrado, presentato al Festival di Locarno. In Figli/Hijos, il suo terzo film, racconta il dramma dei figli dei desaparecidos argentini, illegalemente adottati da famiglie di ex-militari. I suoi film hanno vinto 14 premi internazionali.
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