Il Grande capo di Lars von Trier racconta la Danimarca oggi.
Una grande azienda di informatica sta per essere venduta agli islandesi. Il proprietario non ha mai rivelato la sua identità fingendosi un semplice portavoce di un fantomatico 'Grande Capo'. Ora è però necessario che il Capo si materializzi. Ingaggia quindi un attore disoccupato che dovrebbe limitarsi a firmare per procura la cessione. Ma le cose si complicano...
Lars Von Trier può dare ancor più libero sfogo a una vena satirica che, come sempre, non riesce a contenere il suo strabordante ego. A questo punto scatta la dinamica consueta: o si apprezza o si detesta il 'marcio' che Lars trova non solo in Danimarca ma nel nostro mondo. La falsità dei rapporti di lavoro, il profitto che calpesta qualsiasi relazione, il bisogno di autoaffermazione che scavalca ogni concetto di equità. L'etica è una parola cancellata dal vocabolario e se il ruvido businessman islandese non finge neppure di averla mai sentita nominare a poco servono i machiavellismi di chi vuol negare a se stesso la propria amoralità.

Il Regista
Lars von Trier nel 1977 gira i suoi due primi cortometraggi. Il primo vero successo arriva nel 1984 con l'elemento del crimine, il film fa parte di una trilogia chiamata Europa, insieme a Epidemic (1987) e Europa (1991). Dopo Le onde del destino (1996) e Idioti (1998), nel 2000 dirige uno dei suoi film più apprezzati: Dancer in the Dark, interpretato dalla cantante islandese Biork. Con Nikole Kidman gira Dogville (2003). Dopo Manderlay, nel 2009 realizza Antichrist e nel 2011 l'apocalittico Melancholia, entrambi premiati al festival di Cannes.
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