Una commedia di Eduardo in versione halal? Napolislam, documentario sui napoletani convertiti alla religione musulmana – in uscita nei cinema nella seconda metà di giugno – ha già nel suo titolo un gioco di parole: una città e una religione che si mischiano insieme creando una combinazione unica in grado di raccontare le varie classi sociali, anche le più basse, e la loro vita dopo la conversione alla religione musulmana.
Quello che arriva agli spettatori, però, è tutt’altro che uno scenario cupo o di terrore ma un ritratto con momenti ironici e dialoghi in grado di far sorridere anche il più convinto sostenitore di Matteo Salvini. “Se io esco vestita con quel velo qui pensano che sto fuori e’ capa”, dice Teresa mentre dialoga in cucina con suo fratello Francesco, uno dei 10 protagonisti del film. Francesco, 32 anni, ha solo la quinta elementare e la sua famiglia vive in un seminterrato del Rione Sanità. Alcuni anni fa si è convertito all’Islam imparando l’arabo classico in maniera impeccabile, ed è diventato la guida spirituale delle sue sorelle.
Tra le vie e i vicoli di Napoli, con paesaggi sorprendentemente simili a quelli di alcune metropoli mediorientali come Tunisi o Casablanca, c’è anche Agostino, l’imam della moschea di piazza Mercato. Accento napoletano, Agostino ha studiato 6 anni a Medina, la città dove è sepolto Maometto in Arabia Saudita, ed è poi tornato a Napoli. “Quante mogli aveva il Profeta?” chiede una cliente a Dino, parrucchiere convertito che lavora nella periferia di Napoli. “9”, risponde Dino, “ ma la differenza è che un vero musulmano si prende cura di tutte le sue donne allo stesso modo”.
Il regista del film – che sarà presentato al Biografilm Festival 2015 – è Ernesto Pagano, giornalista e arabista. “Ho conosciuto alcuni italiani convertiti durante gli anni dell’università, all’Orientale di Napoli”, racconta Pagano. “L’idea di raccontarli in un film e non in un semplice servizio giornalistico è arrivata diversi anni dopo grazie al mio incontro con Ciro”. Ciro Capone Mohammed è un ambulante napoletano e ha conosciuto l’Islam per caso, leggendo il Corano trovato in una libreria mentre cercava un libro su Maradona. Tuttavia Ciro non compare nel documentario perché dopo l’attacco al magazine francese Charlie Hebdo, avvenuto durante la produzione del film, ha deciso di non esporsi ai media.
“Ho inserito delle scene dove i protagonisti guardano l’attentato di Parigi”, dice Pagano. “Volevo mostrare lo scollamento che in realtà c’è tra la loro quotidianità e quello che accadeva nel circo mediatico. In quei giorni molti di loro si sono sentiti sotto attacco”. Napolislam non cerca di dare giudizi sulla conversione degli occidentali all’Islam, ma dipinge piuttosto un ritratto inedito della città raccontando anche alcuni luoghi simbolo di integrazione. Per esempio, Piazza Mercato, dove il santuario dedicato alla Madonna del Carmine e la moschea convivono a poche centinaia di metri di distanza. Islam e tradizione napoletana si trovano anche in luoghi come la pasticceria Lauri di Piazza Garibaldi che nel periodo di Ramadan ha iniziato a produrresfogliatelle e zeppole in versione halal, cioè senza lo strutto di maiale.
La Napoli che emerge dal documentario è dunque una metropoli del Mediterraneo in cui diverse religioni si innestano nel tessuto sociale. “A Napoli è ancora prematuro parlare di comunità di italiani convertiti”, spiega Pagano, “perché tutti hanno delle storie diverse: molti arrivano da militanze in partiti di estrema sinistra, altri hanno sposato delle persone di religione musulmana o nell’Islam hanno semplicemente trovato delle risposte che le loro precedenti religioni o ideologie non erano riuscite a dare.
- L. Cappon, Il Fatto Quotidiano
Napolislam è il racconto sconosciuto della Napoli che un bel giorno si è scoperta un po' islamica, la Napoli dove le cento chiese esistono ancora ma perdono fedeli e lasciano il posto, spesso lo stesso posto come in piazza Mercato con la chiesa sconsacrata, alle moschee. C'è Salvatore, deluso dai movimenti, che è diventato Muhammad e adesso preferisce Maometto a Che Guevara, perché pensa che l’unico modo di portare la giustizia nella società è instaurare la sharia. Walid è venuto dall’Algeria e ha sposato Alessandra che adesso ha un nome arabo: Amina. Sua madre Francesca non riesce ad accettarlo; quando Alessandra le mostra come si indossa lo hijab lei rimane contrariata, anche se deve ammettere che adesso quei foulard in testa vanno sempre più di moda. A piazza Mercato, invece, ai costumi islamici ci hanno fatto l’abitudine. Ogni venerdì la strada di fronte alla moschea viene invasa dai tappeti. Sopra, centinaia di uomini scalzi aspettano il sermone dell’Imam.
La telecamera ha attraversato la città ed è entrata nelle vite di dieci convertiti all’Islam, un disoccupato, una ragazza innamorata, un rapper, un padre di famiglia... Persone diverse che hanno trovato nel Corano una risposta all’ingiustizia sociale, al consumismo sfrenato, al blackout della speranza. Ma la religione che hanno scelto non è solo una fede: è un sistema di regole che viene da una cultura lontana.
La loro storia quotidiana getta una luce nuova, di volta in volta divertita e amara, su Napoli e sulla nostra società: la forza dell’Islam non sta nelle bombe e nel terrorismo, ma nella sua capacità di fare proseliti. I convertiti sono in aumento e il messaggio del Corano è arrivato anche a Napoli, grande porto di mare, una città dove il miscuglio di cultura e religione produce metamorfosi inattese. I giocattolai di piazza Mercato, ancora devoti alla Madonna del Carmine, devono ammettere che la religiosità dei musulmani è più forte: per venire alla preghiera lasciano pure il lavoro, come se di lavoro a Napoli ce ne fosse da buttare.
Francesco ne sa qualcosa: per trovare un’occupazione sta partendo per Londra. Adesso si chiama Muhammad e nasconde le sue braccia tatuate sotto il qamis, la tunica bianca che portano i musulmani osservanti. Nel suo basso del rione Sanità recita il Corano in arabo, muovendo la sua barba lunga e nera al ritmo di una cantilena melodiosa. Le sorelle, rimaste impressionate da quel cambiamento, adesso pendono dalle sue labbra. Prima Francesco pensava solo alle donne, alle lampade solari e alle scarpe firmate: tutti trucchetti di Satana per farti perdere la retta via, spiega a tavola alla sorella Teresa. Adesso anche lei ha cominciato a leggere il Corano e a fare le preghiere, ma non ha messo il velo perché altrimenti nel quartiere la crederebbero pazza.
Lina, l’altra sorella di Francesco, il marito invece lo ha lasciato e si mantiene da sola con la figlia adolescente cucendo nel soggiorno di casa colli di camicie per dieci ore al giorno. Anche lei trova sollievo nel pregare “a faccia a terra”. Perché Islam vuol dire sottomissione a Dio. Una sottomissione che riporta ordine e moralità in una società ingiusta e corrotta dal consumismo, il gioco d’azzardo e i costumi lascivi: Dino Muhammad nel suo negozio di parrucchiere ha la missione di farlo capire a tutte le sue clienti. Sua moglie e i suoi figli lo hanno già seguito nella sua conversione all’Islam. Altra musica per la moglie di Giovanni Yunis. Lei a questo Islam proprio non ci crede. Per la verità non crede neanche più in Dio. Perché se Dio esistesse non permetterebbe di uccidere in nome suo, come hanno fatto i terroristi a Parigi. Ma l’attentato a Charlie Hebdo non c’entra con l’Islam. Vaglielo a spiegare alla gente, pensa Danilo Alì, uno che ha sempre invocato Allah, (non in arabo, ma in dialetto napoletano) per cantarlo nei suoi pezzi hip hop. Spesso va a cercare Dio in un suo posto segreto sotto i piloni della tangenziale di Napoli. Si guarda verso l’alto tra il cielo e il cemento e annota sul taccuino i versi per il suo nuovo brano: pe’ sta a sto munn – scrive – e’ sapé campà, bismillah”. Per stare a questo mondo devi saper vivere, nel nome di Allah.
Napolislam è la città di Napoli guardata da un’altra prospettiva: quella dell'islamizzazione dell’Europa, un fenomeno col quale stiamo già facendo i conti. Una telecamera segue i convertiti nelle loro vite; registra i piccoli e grandi scontri di civiltà all’interno delle mura domestiche, i drammi interiori, le confessioni intime. Un mosaico di storie, a volte tragiche, altre comiche, tutte diverse, eppure accomunate dall’esigenza di reagire a una crisi spirituale ed economica che ormai investe l’intera società. Un modo per chiedersi per quale motivo la religione rivelata da Maometto ci sta lentamente conquistando.
Napolislam - racconta Pagano - è stato concepito nel corso di lunghi anni d’osservazione dei nuovi convertiti all’Islam, un percorso cominciato nel 2007 che mi ha dato la possibilità di stabilire un rapporto di fiducia con loro, altrimenti restii a far entrare una telecamera nelle loro vite private. Il documentario è stato girato tra il 2014 e il 2015, a cavallo degli attentati di Parigi. Un momento più che mai attuale per guardare da vicino chi ha scelto la conversione ed avere maggiori elementi per farsi un’idea del perché sempre più occidentali, al di là del jihad, stanno abbracciando il messaggio del Corano. Con i suoi vicoli e i suoi campanili a forma di minareto Napoli ci ricorda che la sua islamizzazione la sta già vivendo: dipende solo da quale prospettiva guardiamo la città. Trovare dei napoletani “veraci” con le barbe lunghe o lo hijab produce la sensazione di trovarsi già in una città islamica, a Napolislam appunto: avanguardia ipotetica di un’Europa che si sta lentamente islamizzando.
- A. Magliaro, ANSA